Il dolore rappresenta il mezzo con cui l’organismo segnala un danno tessutale. Secondo la definizione della IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) e dell’Organizzazione mondiale della sanità, il dolore «è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno».
Esso non può essere descritto veramente come un fenomeno sensoriale, bensì deve essere visto come la composizione di:
- una parte percettiva (la nocicezione) che costituisce la modalità sensoriale che permette la ricezione e il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo
- una parte esperienziale (quindi del tutto privata, la vera e propria esperienza del dolore) che è lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole.
Con la legge n. 38/2010 (art. 7) il dolore rientra come quinto parametro vitale, da rilevare e monitorare. Il dolore è fisiologico, un sintomo vitale/esistenziale, un sistema di difesa, quando rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tissutale, essenziale per evitare un danno. Diventa patologico quando si automantiene, perdendo il significato iniziale e diventando a sua volta una malattia (sindrome dolorosa).
Epidemiologia del dolore
Indagini epidemiologiche condotte in vari paesi europei hanno dimostrato che, in Italia, il dolore cronico affligge 1 cittadino su 4 (circa 15 milioni di italiani), per un periodo medio di 7,7 anni e che 1/5 circa dei pazienti soffre di dolore per oltre 20 anni. Questi dati mettono in luce la dimensione del problema che non affligge solo i pazienti affetti da patologie oncologiche, ma anzi è particolarmente sentito e impattante nei pazienti affetti da patologie quali artriti, artrosi, fibromialgia, osteoporosi, ecc. È stato pubblicato recentemente un articolo inerente a una survey condotta tra pazienti di 13 Paesi europei (tra i quali anche l’Italia) affetti da dolore non oncologico e seguiti dal gruppo di ricerca per un anno. I dati emersi evidenziano come il 95% dei pazienti coinvolti nell’indagine avesse, dopo 3 mesi di osservazione, un dolore ancora d’intensità a partire da moderata; di questi il 47% attribuiva al dolore un’intensità severa con una durata superiore ai 2 anni. I pazienti coinvolti nello studio hanno inoltre dichiarato che il dolore da loro provato si ripercuoteva in maniera negativa sulla loro capacità di condurre una vita normale: nel 73% dei casi avevano difficoltà a svolgere le attività di tutti i giorni, come i lavori domestici o le occupazioni familiari e ricreative, nel 68% il dolore influiva sulla capacità lavorativa, nel 46% alterava i rapporti familiari e sociali, nel 60% alterava la qualità del sonno e nel 41% le relazioni sessuali. Non solo, il dolore è risultato abbia influito anche sullo stato emotivo delle persone colpite: il 44% di loro si è sentito solo nella propria malattia, 2/3 si sono sentiti ansiosi e depressi e per il 28% di loro il dolore era così forte che avrebbero preferito morire.
Fisiologia del dolore
La componente percettiva del dolore (o componente neurologica) è costituita da un circuito a tre neuroni che convoglia lo stimolo doloroso dalla periferia alla corteccia cerebrale mediante le vie spino-talamiche. La parte esperienziale del dolore (o componente psichica), responsabile della valutazione critica dell’impulso algogeno, riguarda la corteccia cerebrale e la formazione reticolare e permette di discriminare l’intensità, la qualità e il punto di provenienza dello stimolo nocivo; da queste strutture vengono modulate le risposte reattive.
L’esperienza del dolore è quindi determinata dalla dimensione affettiva e cognitiva, dalle esperienze passate, dalla struttura psichica e da fattori socio-culturali.